PCOS: Quali strategie adottare oltre agli inositoli?

PCOS: Quali strategie adottare oltre agli inositoli?

Introduzione

In questo webinar che ho tenuto per colleghi medici puoi trovare molte informazioni interessanti riguardanti la sindrome dell’ovaio policistico che è uno dei disturbi più comuni nelle giovani donne e rappresenta la causa più frequente di infertilità legata ad anovularità cronica. Le donne che ne soffrono presentano caratteristiche diverse: disordini psicologici (disturbi d’ansia, depressione), infertilità (cicli mestruali irregolari), segni di iperandrogenismo (alopecia, irsutismo, grasso viscerale), disturbi metabolici (insulino-resistenza, sindrome metabolica, prediabete, diabete mellito tipo 2 e rischio cardiovascolare). I trattamenti per questa patologia sono molteplici e variano anche a seconda di quali siano le problematiche principali; oltre a dieta e ad attività fisica, accanto ai farmaci più tradizionali (contraccettivi orali, antiandrogeni, insulino-sensibilizzanti) sempre più importanza viene data ai nutraceutici tra i quali spiccano gli inositoli (myo-inositolo e D-chiro-inositolo), la berberina e la curcumina.

Webinar

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Origine della sindrome dell’ovaio policistico

La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) non è certamente una patologia dell’era moderna; secondo alcuni studiosi infatti sembra che abbia avuto origine nelle comunità del paleolitico ove fattori ambientali sfavorevoli selezionarono “genotipi parsimoniosi” ovvero uomini e donne con grande capacità di immagazzinare nel corpo riserve energetiche necessarie per far fronte a periodi di digiuno. Inoltre una sorta di subfertilità tra i cacciatori nomadi poteva apportare un certo vantaggio: le donne potevano accudire un numero minore di figli e un basso tasso di gravidanza potrebbe avere portato ad una minore mortalità per parto e quindi a una minor probabilità di abbandono della progenie, dal momento che le complicanze dovute al parto stesso erano la maggior causa di morte nelle donne in età fertile. D’altra parte durante il periodo neolitico, quando le comunità divennero stanziali, il genotipo con PCOS potrebbe essere sopravvissuto più facilmente in virtù della sua robustezza, peraltro sviluppando diverse varianti che sono a tutt’oggi ben conosciute proprio dal punto di vista genotipico e fenotipico.

I primi accenni in campo medico risalgono invece già ai tempi degli antichi Greci quando Ippocrate e Sorano di Efeso avevano notato che molte donne di aspetto mascolino e robusto non mestruavano e non rimanevano gravide. Nel diciottesimo secolo gli studiosi notarono che i segni di iperandrogenismo erano associati ad alterazioni metaboliche quali l’incremento del grasso viscerale. Nel 1947 Jean Vague, medico e professore all’università di Marsiglia, introdusse il termine di “obesità androide” per definire la tipica distribuzione maschile dei depositi di grasso addominale, associata ad un aumento del rischio cardiovascolare. Nel 1935 Stein e Leventhal descrissero un’associazione tra oligo-amenorrea, ovaie policistiche, irsutismo, acne e obesità. Tuttavia solo diversi anni dopo furono stabiliti i primi criteri diagnostici per la PCOS.

Definizione

La sindrome dell’ovaio policistico è un disturbo endocrino e metabolico eterogeneo, caratterizzato da anovulazione cronica/oligomenorrea, iperandrogenismo ed insulino-resistenza.

I primi criteri diagnostici della NIH (National Institute of Health) risalgono al 1992 e includevano:

  1. Segni clinici e/o biochimici di iperandrogenismo;
  2. Alterazioni mestruali;
  3. Esclusione di altre cause di iperandrogenismo (iperplasia surrenale congenita, iperprolattinemia, disfunzioni tiroidee, tumori secernenti androgeni).

Il criterio morfologico ecografico non era stato incluso nella diagnosi perché giudicato aspecifico e incostante. I criteri NIH hanno rappresentato il primo passo verso la standardizzazione di una sindrome complessa.

Nel 2003 il Rotterdam ESHRE (European Society of Human Reproduction and Embryology)/ASRM (American Society or Reproductive Medicine) PCOS Consensus Workshop Group ha proposto una revisione dei criteri diagnostici definendo la PCOS con la presenza di almeno due dei seguenti criteri:

  1. oligo-anovulazione;
  2. iperandrogenismo clinico (acne, seborrea, alopecia, irsutismo) e/o biochimico;
  3. ovaie policistiche.

In base a tali criteri i possibili fenotipi sono tre:

  1. Iperandrogenismo clinico e/o biochimico ed oligoanovulazione cronica, con o senza policistosi ovarica (PCOS “classica” o “PCOS NIH”);
  2. Iperandrogenismo clinico e/o biochimico e policistosi ovarica, con cicli ovulatori (PCOS “ovulatoria”);
  3. Anovulazione cronica e policistosi ovarica, con assenza di iperandrogenismo clinico e/o biochimico.

I criteri di Rotterdam estendevano la definizione di PCOS ad un numero più ampio di donne, anche con fenotipi fino a quel momento non presi in considerazione. Ad oggi il criterio morfologico ecografico proposto per la prima volta a Rotterdam non è considerato indispensabile per la diagnosi, né è tantomeno sufficiente, dal momento che il riscontro di ovaie policistiche,
indipendentemente dalla PCOS, si può avere nel 20% delle donne sane e in un’ampia fetta di donne con patologie diverse quali l’iperplasia surrenale congenita o l’irsutismo idiopatico. Se ne conclude che donne che presentano solo riscontro ecografico di
policistosi ovarica non andrebbero considerate affette da PCOS, fino a che non si manifestino completamente le evidenze cliniche della sindrome.

Secondo l’Androgen Excess Society (AES, 2006), che considera la PCOS come un disordine prevalentemente iperandrogenico, la diagnosi può essere posta laddove siano verificati tutti i seguenti criteri:

  1. iperandrogenismo: irsutismo e/o iperandrogenemia;
  2. disfunzione ovarica: oligo-anovulazione e/o ovaie policistiche;
  3. esclusione di altre cause di eccesso androgenico o disordini collegati.

Tali criteri sono complessivamente sovrapponibili a quelli di Rotterdam, dai quali si differenziano solamente per l’esclusione del fenotipo “policistosi con oligomenorrea”, ritenuto dai più non classificabile come PCOS.

Fisiopatologia

L’eziopatogenesi della PCOS è di tipo multifattoriale. Sembra che intervengano fattori genetici ed ambientali tuttavia non è ancora chiaro, allo stato attuale, quale sia l’evento patogenetico che innesca la reazione a catena. A prescindere da quale sia l’evento iniziale, si determina una condizione di iperandrogenismo, probabilmente dovuta ad una maggior attività delle cellule della teca (le cellule che circondano un follicolo ovarico che sta maturando), che innesca un’esagerata produzione aciclica di estrone (un ormone sessuale femminile secreto dall’ovaio e prodotto a livello periferico, specialmente nel tessuto adiposo, per conversione dell’androstenedione ad opera dell’enzima aromatasi) e che a sua volta determina un’iperproduzione di gonadotropine, soprattutto di LH (ormone luteinizzante) perché la sintesi di FSH (ormone follicolostimolante) è frenata dall’inibina. L’azione finale dell’LH, infatti, è maggiore e non solo perché si ha un aumento della frequenza e dell’ampiezza dei suoi picchi secretori, ma anche perchè vi è una maggiore attività biologica dell’LH. Di conseguenza si determina un incrementato rapporto LH/FSH che causa, a sua volta, una mancata maturazione follicolare (e quindi anovularità) e un’iperstimolazione delle cellule della teca ovarica con iperproduzione di androgeni i quali perpetuano e amplificano il circolo vizioso. Inoltre, nel determinare l’iperandrogenismo, possono concorrere altri fattori quali un eccesso di produzione di androgeni a livello del surrene, la resistenza insulinica, la possibile presenza di difetti enzimatici della steroiodogenesi ovarica e surrenalica (soprattutto nei casi familiari). Parallelamente, per motivi ancora non noti, nell’ovaio policistico si assiste anche ad una ridotta conversione degli androgeni in estrogeni a livello delle cellule della granulosa determinando, così, un eccesso locale di androgeni che provoca la regressione maturativa dei follicoli (atresia follicolare cronica). Questo determina, a sua volta, una riduzione delle cellule della granulosa e conseguentemente un’ulteriore riduzione della capacità di sintetizzare estrogeni. Anche l’iperinsulinismo presente nelle pazienti con PCOS contribuisce, in modo non trascurabile, all’iperandrogenismo, agendo sull’ovaio in modo sinergico con l’LH determinando, così, un aumento ulteriore della concentrazione di androgeni.

Aspetti clinici

La sindrome dell’ovaio policistico è una malattia cronica che si autoperpetua le cui manifestazioni cliniche endocrine e metaboliche sono due facce della stessa medaglia ed accompagnano la donna che ne soffre per tutto l’arco della vita. Qui di seguito sono elencate le principali caratteristiche fenotipiche della PCOS:

  • irsutismo: è il segno clinico più importante (presente nel 60% dei casi) ed è definito dalla presenza di peli terminali in zone in cui la donna normalmente è glabra. Dall’irsutismo va distinta l’ipertricosi, che viene definita come la presenza di peli morbidi, sottili e chiari (vello) in zone in cui è normalmente presente crescita di peli nella donna. La gravità dell’irsutismo viene misurata attraverso la scala di Ferriman-Gallwey, che assegna un punteggio da 0 (assenza) a 4 (disposizione pilifera francamente maschile) in 9 diverse zone corporee sensibili agli androgeni; valori ≥ 8 indicano la presenza di irsutismo (Tabella 1). Tale metodica tuttavia, ha diversi limiti fra cui la soggettività della valutazione, la possibile sottostima nei casi in cui l’irsutismo sia localizzato solo in alcune aree o se la paziente si sottopone a procedure di epilazione;
  • irregolarità mestruali: compaiono solitamente sin dall’adolescenza, il disturbo più frequente è l’anovularietà; in molti casi si osserva oligomenorrea (perdite mestruali poco abbondanti che si presentano nel corso di un ciclo piuttosto lungo, compreso tra i 35 e i 90 giorni); nel 30% dei casi sono presenti periodi di amenorrea (assenza del ciclo);
  • obesità: solitamente compare nel periodo premenarcale ed è più frequente nei casi di iperandrogenismo con elevati valori di insulina circolante. È prevalentemente sviluppata nella parte superiore del corpo nelle pazienti con iperinsulinemia, in quella inferiore nelle altre; la presenza di obesità nelle donne con PCOS determina peggioramento del quadro clinico, sia dal punto di vista metabolico che da quello riproduttivo. Le donne obese con PCOS infatti presentano, rispetto alla controparte normopeso, un’aumentata prevalenza di alterata tolleranza al glucosio (IGT) e diabete mellito di tipo 2, una maggiore prevalenza di irsutismo, oligomenorrea, amenorrea e infertilità e un maggiore rischio di malattie cardiovascolari;
  • acne e seborrea: sono presenti nel 31% dei casi e tendono ad aggravarsi in concomitanza con periodi di irregolarità mestruale;
  • alopecia: colpisce circa il 2% delle donne con PCOS, è caratterizzato da un diradamento diffuso dei capelli o dalla retrazione della linea di attaccatura frontale;
  • acanthosis nigricans: presente nel 3,1%, è dovuta all’iperinsulinismo e all’insulino-resistenza, si manifesta con cute ispessita, iperpigmentata e in apparenza vellutata;
  • le ovaie: ecograficamente si presentano aumentate di volume (>10 cc), con numerosi follicoli (>10) a classica disposizione sottocapsulare di diametro variabile; lo stroma ovarico appare ecodenso e, alla valutazione color-Doppler, ipervascolarizzato;
  • fertilità: talvolta la PCOS può dare una fertilità ridotta rispetto alla norma a causa dell’aumentata secrezione di LH, responsabile dei cicli anovulatori, un minor numero di quest’ultimi prolunga il tempo necessario per il concepimento spontaneo;
  • insulino-resistenza: è la condizione in cui l’insulina è meno efficace nel ridurre il glucosio plasmatico ed è pertanto necessaria maggior quantità di insulina per mantenere il compenso metabolico. L’insulina contribuisce ad aumentare i livelli di androgeni legandosi al suo recettore sulla teca e aumentando la produzione di androgeni stimolata dall’LH e inibendo la produzione epatica della proteina legante gli ormoni sessuali (SHBG overo sex hormon binding globulin);
  • obesità e sindrome metabolica possono interessare più della metà delle pazienti con PCOS. E’ chiaro che più tardi nella vita, l’associazione di obesità (in particolare quella localizzata in sede addominale) e PCOS renda queste donne più suscettibili a sviluppare diabete mellito di tipo 2;
  • disordini psicologici: l’eterogeneità dei sintomi, un’alterata percezione della propria immagine corporea, difficoltà di concepimento e le possibili complicanze metaboliche a lungo termine possono essere causa di disordini alimentari o stress emotivi che possono incidere negativamente sulle attività quotidiane, lavorative e sociali, causando una significativa riduzione della “qualità di vita”.
SedePunteggioDefinizione
Labbro superiore1Qualche pelo alle commessure labiali
Labbro superiore2Piccoli baffi alle commessure labiali
Labbro superiore3Baffi a partenza dalle commessure occupanti metà del labbro superiore
Labbro superiore4Baffi completi
Mento1Qualche pelo isolato
Mento2Qualche pelo isolato e qualche zona con peli più fitti
Mento3,4Barba leggera o fitta
Petto1Qualche pelo peri-areolare
Petto2Qualche pelo peri-areolare e qualche pelo sulla linea mediana
Petto3Copertura di 3/4 del petto
Petto4Copertura completa del petto
Parte superiore del dorso1Peli isolati
Parte superiore del dorso2Peli isolati più numerosi
Parte superiore del dorso3,4Vello leggero o spesso
Parte inferiore del dorso1Ciuffo di peli in sede sacrale
Parte inferiore del dorso2Ciuffo di peli in sede sacrale con estensione laterale
Parte inferiore del dorso3Copertura per 3/4 della regione
Parte inferiore del dorso4Copertura completa della regione
Parte superiore dell’addome1Qualche pelo sulla linea mediana
Parte superiore dell’addome2Peli sulla linea mediana più marcati
Parte superiore dell’addome3,4Vello parziale o totale
Parte inferiore dell’addome1Qualche pelo sulla linea mediana
Parte inferiore dell’addome2Fila di peli sulla linea mediana
Parte inferiore dell’addome3Striscia di peli
Parte inferiore dell’addome4Pelosità a forma di triangolo inverso
Braccia1Peli sparsi per meno di 1/4 della superficie
Braccia2Peli sparsi per più di 1/4 ma non su tutta la superficie
Braccia3,4Peli su tutta la superficie leggeri o fitti
Avambraccio1,2,3,4Copertura completa della faccia dorsale 1 e 2 leggera, 3 e 4 fitta
Coscia1,2,3,4Copertura completa della faccia dorsale 1 e 2 leggera, 3 e 4 fitta
Tabella 1 – Scala di Ferriman-Gallway

Terapia

La terapia della PCOS ha come obiettivo quello di migliorare la funzione ovarica, ridurre gli androgeni, prevenire le complicanze metaboliche, favorire il calo ponderale. Oltre ai cambiamenti dello stile di vita (dieta ed attività fisica), gli approcci farmacologici a disposizione sono fondamentalmente di tre tipi: “ormonali”, “anti-androgenici” e ” metabolici”. Essi possono essere combinati tra loro tuttavia la sicurezza d’uso può essere un fattore limitante il loro utilizzo (vedi Tabella 2).

TerapiaCaratteristiche
DietaLa perdita di peso porta ad un miglioramento della sensibilità insulinica e del profilo lipidico, migliora l’iperandrogenismo, aumenta il SHBG, diminuisce il testosterone, migliora il ritmo del ciclo mestruale con riduzione dell’adiposità addominale.
Attività fisicaRiduce l’insulino resistenza mediante due meccanismi: riduzione del grasso viscerale ed aumento del metabolismo delle cellule muscolari. Migliora le irregolarità mestruali, ripristina l’ovulazione e i benefici sulla fertilità sono migliori della sola dieta ipocalorica. Migliora la composizione corporea con aumento della massa magra e riduzione della massa grassa a parità di peso.
Contraccettivi oraliLa terapia con estroprogestinici è largamente impiegata, normalizza la ciclicità mestruale, bloccando l’ovulazione e la steroidogenesi ovarica ed incrementa la SHBG. Sono da preferire i contraccettivi orali contenenti un progestinico ad azione anti-androgeno. Tuttavia non sono sempre ben tollerati per i possibili effetti collaterali, aumentano il rischio di fenomeni di tromboembolismo venoso e sono controindicati in casi particolari (presenza di una malattia cardiovascolare o una storia passata di fenomeni tromboembolici, predisposizione ad alcune malattie della coagulazione, fumo in donne di età superiore ai 35 anni, obesità, ipercolesterolemia, malattie del fegato gravi o della cistifellea, emicrania severa, storia di tumore al seno, assunzione di alcuni determinati medicinali quali barbiturici, antiepilettici, antifungini, antidepressivi, ecc.).
Anti-androgeniNei casi più gravi di irsutismo con elevato iperandrogenismo, si possono associare gli antiandrogeni.
Il ciproterone acetato è il farmaco di prima scelta, ha attività progestinica e riduce la secrezione di gonadotropine.
Lo spironolattone, la flutamide e la finasteride sono farmaci poco utilizzati e non privi di effetti collaterali, il loro uso per la PCOS è off-label (farmaci prescritti sotto la responsabilità del medico, con il consenso informato della paziente e con costi a carico di questa).
Insulino-sensibilizzantiL’uso di metformina è raccomandato in presenza di diabete mellito tipo 2 o in stati di alterata glicemia a digiuno, quando si ha un problema di insulino-resistenza. E’ considerata una terapia di seconda scelta in donne che non tollerano i contraccettivi orali e non è indicata se si desidera una gravidanza a breve. Ha solo una modesta azione di controllo sull’iperandrogenismo. Il suo uso in pazienti che non presentano un diabete mellito è off label (farmaci prescritti sotto la responsabilità del medico, con il consenso informato della paziente e con costi a carico di questa).
Il trattamento con pioglitazone è un’alternativa nelle donne che non sono in grado di assumere o tollerare la metformina, tuttavia il suo uso è stato limitato alle pazienti con diabete mellito tipo 2 a causa del rischio associato di osteoporosi, cancro e aumento di peso.
Tabella 2 – Terapia della PCOS

Terapia con nutraceutici

Il termine nutraceutico, fu introdotto nel 1989 dal dottor Stephen De Felice, che coniò questa definizione unendo le parole “nutrizione” e “farmaceutica”, per indicare come i costituenti naturali presenti negli alimenti o nelle piante possono essere sintetizzati per creare farmaci utili per prevenire e trattare alcune malattie. Nei seguenti paragrafi descriverò i principali nutraceutici che vengono utilizzati nelle donne affette dalla sindrome dell’ovaio policistico.

Inositoli

Gli inositoli possono essere definiti molecole “autacoidi” (dal greco autòs, se stesso e ákos, rimedio), cioè molecole di struttura e proprietà eterogenee, accomunate dall’origine endogena e dalla capacità di produrre significativi effetti terapeutici. Chimicamente sono polialcoli presenti in 9 forme stereoisomeriche, definite dall’orientamento spaziale dei loro sei gruppi idrossilici. Tra queste il myo-inositolo ed il D-chiro-inositolo sono le forme più frequentemente rappresentate nell’uomo, il primo coinvolto nei meccanismi di assorbimento cellulare di glucosio, il secondo in quelli della sintesi di glicogeno. Il D-chiro-inositolo è sintetizzato da un’epimerasi che converte myo-inositolo in D-chiro-inositolo. Essi sono presenti in vari alimenti: cereali integrali, grano saraceno, semi, noci e frutta, carrube. Il myo-inositolo e il D-chiro-inositolo svolgono un ruolo positivo nella cura della PCOS, sia per la loro azione diretta nel distretto ovarico ove ripristinano l’ovulazione e riducono la quantità di androgeni circolanti migliorando la fertilità, sia per l’effetto indiretto esercitato in qualità di agenti insulino-sensibilizzanti migliorando l’utilizzo del glucosio circolante.

Berberina

Il nome del genere deriva dal greco «berberi», che significa conchiglia, per via dei petali fatti a conca. La berberina è un sale di ammonio quaternario appartenente al gruppo degli alcaloidi benzilisochinolinici. Si trova in alcune piante del genere Berberis, di solito nelle radici, rizomi, fusti e corteccia. Il genere comprende circa 450-500 specie di arbusti decidui sempreverdi e si trova nelle regioni temperate e subtropicali dell’Asia, Europa e America. Le sue proprietà benefiche erano note già nella medicina cinese ed il suo estratto è stato utilizzato per le sue proprietà antimicrobiche, per il trattamento delle diarree e delle infezioni intestinali per arrivare in periodi relativamente recenti a descriverne l’utilizzo nel trattamento di altre patologie. La progressiva produzione scientifica prodotta negli ultimi anni, ricca di dati favorevoli all’impiego, ha mostrato il ruolo che questa molecola possiede anche per altre importanti attività:

  • migliora la resistenza all’insulina in modo simile alla metformina. La berberina migliora la trasduzione del segnale dell’insulina stimolando l’assunzione di glucosio tramite l’attivazione della via della chinasi della proteina attivata da AMP, inibisce l’alfa-glucosidasi riducendo il trasporto del glucosio attraverso l’epitelio intestinale, incrementa l’espressione di RNA messaggero del recettore dell’insulina, favorisce l’espressione di recettori canali GLUT4;
  • abbassa i livelli di colesterolo grazie alla capacità di aumentare l’espressione del recettore epatico per le lipoproteine a bassa densità (LDLR) e di ridurre l’espressione di proproteina convertasi subtilisina/kexina tipo 9 (PCSK9). La berberina risulta essere l’unico composto botanico incluso nelle linee guida europee per la gestione della dislipidemia da utilizzare anche in pazienti intolleranti alle statine;
  • migliora la fertilità;
  • riduce il peso e migliora la distribuzione del grasso corporeo.

In uno studio pubblicato nel 2012 sull’European Journal of Endocrinology, sono stati paragonati i benefici della berberina alla metformina in 89 donne con PCOS in terapia con ciproterone acetato; di queste 31 sono state trattate con berberina (500 mg, tre volte al giorno), 31 con metformina (500 mg, tre volte al giorno) e 28 placebo per 3 mesi. Tutte le donne hanno seguito una dieta povera di carboidrati e grassi e praticavano quotidianamente esecizio fisico da moderato ad intenso per 30 minuti al giorno. Dopo 3 mesi di trattamento, le donne con PCOS che hanno assunto berberina hanno visto una maggiore riduzione della perdita di grasso corporeo rispetto a metformina o placebo. La berberina ha ridotto i livelli di insulina e glucosio in modo simile alla metformina. Le donne con PCOS che hanno assunto berberina hanno visto riduzioni significative del colesterolo totale, dei livelli di colesterolo LDL e dei trigliceridi, oltre a un miglioramento significativo delle HDL rispetto al gruppo trattato con metformina e placebo. Inoltre, l’assunzione di berberina ha abbassato i livelli di testosterone similmente al gruppo con metformina.

Purtroppo, la berberina ha una scarsa biodisponibilità orale in quanto viene assorbita e poi riestrusa a livello intestinale dalla glicoproteina P. L’associazione con silimarina (che agisce come antagonista sulla glicoproteina P) consente di aumentarne l’assorbimento. La silimarina è estratta dal cardo mariano (Silybum marianum) che una pianta erbacea biennale presente in tutto il bacino del Mediterraneo. Ha un’azione antiossidante e favorisce la funzionalità epatica.

La berberina è generalmente ben tollerata e non sono stati riportati effetti collaterali gravi in seguito a sua somministrazione; gli effetti collaterali più comunemente osservati sono di natura gastrointestinale (nausea, vomito, costipazione). La berberina non è raccomandata durante la gravidanza o l’allattamento in quanto non sono disponibili dati sulla sicurezza.

Curcumina

La curcuma è una pianta alla famiglia delle Zingiberaceae originaria dell’Asia sud-orientale. Il nome “curcuma” deriva dalla parola araba “kurkum” che significa “giallo”. La specie di maggior interesse è la Curcuma Longa. La pianta di Curcuma Longa (Turmeric) è costituita da un rizoma dal quale si ottiene una polvere contenente i curcuminoidi (fra questi la curcumina) i quali appartengono al gruppo dei polifenoli che rappresentano la primaria sorgente di antiossidanti dell’alimentazione umana. Il Turmeric appartiene alle tradizioni religiose e culinarie indiane, è, infatti, un componente essenziale della medicina ayurvedica da oltre 4000 anni e fa
parte della composizione del curry. Questa spezia riveste, da non molti anni, un notevole interesse in ambito medico per il controllo dell’infiammazione, nei tumori, nelle patologie degenerative e metaboliche. A tal proposito, numerosi sono i meccanismi con cui la curcumina svolge le sue azioni metaboliche:

  • riduce l’infiammazione cronica di basso grado inibendo l’infiltrazione del grasso da parte dei macrofagi e l’attivazione del fattore di trascrizione NF-kB (Nuclear Factor k chain transcription in B cells);
  • riduce l’espressione di adipochine, IL-6 (interleuchina 6) TNF-alfa (fattore di necrosi tumorale alfa), ma anche di IL-1, IL-4, VEGF (fattore di crescita endoteliale vascolare) nel tessuto adiposo;
  • inibisce selettivamente l’enzima 11-β-HSD-1 (isoenzima-1 dell’11β-idrossi-steroido-deidrogenasi) che è espresso nel fegato e nel tessuto adiposo viscerale. Tale enzima converte il cortisone a cortisolo biologicamente attivo. L’espressione di questo enzima incrementa con l’aumento dell’obesità viscerale; ne consegue un incremento di produzione di cortisolo secreto dal grasso omentale che si associa ad obesità viscerale, iperglicemia, dislipidemia. L’inibizione dell’enzima ad opera della curcumina, rende il tessuto adiposo omentale insulinosensibile;
  • attiva AMPK (sistema delle proteine chinasi AMP dipendenti) esercitando attività favorevoli nella steatosi epatica non alcolica. Questo enzima infatti gioca un ruolo chiave nella regolazione del metabolismo energetico epatico tanto che, mentre la sua disregolazione contribuisce allo sviluppo di steatosi epatica, la sua attivazione, invece, riveste un’azione favorevole. La curcumina inibisce l’adipogenesi e l’accumulo di lipidi indotti da leptina attivando AMPK nelle cellule stellate del fegato.

Numerosi studi hanno dimostrato che la curcumina ha effetti insulinosensibilizzanti e favorevoli sul metabolismo glucidico e lipidico portando ad una significativa riduzione della glicemia, dei trigliceridi, del colesterolo totale ed LDL e a un incremento del colesterolo HDL. Inoltre la curcumina favorisce la perdita di peso corporeo determinando diminuzione della massa grassa e contrasta le azioni del cortisolo nel tessuto adiposo. Tutte queste azioni hanno aperto la strada al possibile impiego dei curcuminoidi nella PCOS che presenta soprattutto complicanze metaboliche, nella steatosi epatica e nei disordini cardiovascolari.

La curcuma ha un ottimo profilo di sicurezza tuttavia ha effetto coleretico e colagogo ovvero stimola la secrezione biliare ed il flusso biliare nell’intestino ed è quindi controindicata in presenza di ostruzione biliare e deve essere somministrata con cautela nei casi di calcolosi della colecisti.

Per ulteriori chiarimenti o per altri consigli per curare la sindrome dell’ovaio policistico non esitare a contattarmi.

Dott.ssa Christine Whisstock

Medico chirurgo specialista in endocrinologia e malattie del ricambio, specializzata nel trattamento medico-chirurgico del piede diabetico e del diabete.

Dottorato di ricerca in ipertensione e prevenzione del rischio cardiovascolare.

Primario dell’Unità Operativa di Piede Diabetico del Policlinico Abano Terme (Padova).

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