Terapia medica dopo l’angioplastica

Terapia medica dopo l'angioplastica

Anche quest’anno sono stata invitata in qualità di relatrice a partecipare al congresso CLI-C GlOBAL 2024 (Critical Limb Ischemia Courses) tenutosi a Padova il 7 e 8 marzo 2024, che ha riunito medici provenienti da diverse nazioni nel mondo con l’obiettivo di approfondire le tematiche riguardanti l’arteriopatia periferica degli arti inferiori (PAD).

Congresso CLI-C Global 2024 - Dott.ssa Christine Whisstock

L’arteriopatia periferica degli arti inferiori è il frutto dell’accumulo di depositi di grasso nelle arterie (aterosclerosi). L’aterosclerosi provoca il restringimento delle arterie che può ridurre il flusso sanguigno nelle gambe; se la placca aterosclerotica diventa fragile o si infiamma potrebbe rompersi e ciò provoca la formazione di un coagulo di sangue. Un coagulo può restringere ulteriormente l’arteria o bloccarla completamente. Questa ostruzione può causare dolore, cambiamenti nel colore della pelle, difficoltà a camminare e ulcere fino ad arrivare alla gangrena con il rischio di perdita di un arto. Per aprire le arterie ostruite si può ricorrere alla rivascolarizzazione endoluminale (o angioplastica). Questa procedura percutanea può diagnosticare e trattare allo stesso tempo un vaso bloccato. L’operatore sanitario guida un tubo sottile e flessibile (catetere) nella parte ristretta dell’arteria. Viene gonfiato un minuscolo palloncino per allargare l’arteria ostruita e migliorare il flusso sanguigno. Un piccolo tubo di rete metallica (stent) può essere posizionato nell’arteria per mantenerla pervia.

Nella mia presentazione ho spiegato l’importanza di adottare un corretto di vita e di seguire una terapia medica in particolare:

  • Cessazione del fumo di sigaretta. I radicali liberi presenti nel fumo peggiorano l’evoluzione dell’aterosclerosi.
  • Svolgere una regolare attività fisica. Una seduta di allenamento (camminata o tapis roulant) di durata non inferiore ai 30 minuti con una frequenza non inferiore alle 3 sedute a settimana per almeno 6 mesi, è in grado di aumentare la perfusione tissutale e promuovere l’angiogenesi (processo di formazione di nuovi vasi sanguigni), determinando un miglioramento della circolazione verso le estremità inferiori.
  • Ottimizzare il controllo lipidico. E’ importante per il paziente seguire rigide norme dietetiche: eliminare le bevande alcoliche, preferire le carni bianche alle carni rosse, prediligere le verdure alle carni, seguire una dieta povera di grassi saturi (latticini, carne grassa ed insaccati) e grassi idrogenati (merendine e prodotti da forno confezionati), privilegiare l’olio extravergine di oliva per il condimento, assumere settimanalmente di 2-4 portate di pesce ricco in acidi grassi omega-3 (salmone, sgombro, trota, aringa). Per quanto riguarda la terapia farmacologica ci vengono in aiuto le statine che agiscono bloccando un enzima (il 3-idrossi-3-metilglutaril coenzima A reduttasi) portando ad una riduzione della sintesi del colesterolo nel fegato, cui segue, come conseguenza, l’aumento dei recettori delle lipoproteine a bassa densità, cioè di quelle strutture deputate a catturare le particelle di colesterolo LDL (il “colesterolo cattivo”) e alla riduzione dei loro livelli plasmatici. Nei paziente che, nonostante la massima dose di statina assunta, non ottengono valori colesterolo LDL inferiori o uguali a 70 mg/dL (1.8 mmol/L), si deve considerare l’aggiunta di ezetimibe, un farmaco capace di inibire selettivamente l’assorbimento intestinale del colesterolo assunto con la dieta e di quello proveniente dalla bile, senza causare gli effetti collaterali tipici delle statine quali crampi e dolori muscolari.
  • Ottimizzare il controllo pressorio. E’ raccomandabile mantenere valori pressori sistolici inferiori a 140 mmHg e diastolici inferiori a 90 mmHg.
  • Ottimizzare il controllo glicemico. Per i pazienti diabetici è importante mantenere l’emoglobina glicosilata (HbA1C) inferiore a 7% (pari a 53 mmol/mol). Tuttavia obiettivi meno ambiziosi (come una HbA1c <8%) possono essere applicati a quegli individui anziani, a rischio di ipoglicemia o con ridotta aspettativa di vita.
  • Terapia con antiaggreganti piastrinici. Per i pazienti con claudicatio intermittente non ad alto rischio di sanguinamento che sono stati sottoposti a rivascolarizzazione endoluminale degli arti inferiori è consigliabile la doppia terapia antiaggregante piastrinca (acido acetilsalicilico e clopidogrel) da un minimo di un mese ad un massimo di sei mesi per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari secondarie ed eventi avversi maggiori agli arti. Invece nei pazienti ad alto rischio di sanguinamento si raccomanda la singola antiaggregazione.
  • Terapia con anticoagulanti orali e antiaggreganti. Recenti studi hanno dimostrato che l’impiego della cosiddetta dose vascolare dell’anticoagulante orale rivaroxaban (2,5 mg due volte al giorno) associato ad acido acetilsalicilico 100 mg ha portato ad una riduzione di ictus, infarto, morte cardiovascolare, eventi avversi agli arti inferiori e di amputazioni.

L’arteriopatia periferica rimane una malattia sottostimata ed ancor meno trattata, per questo è fondamentale che il paziente si affidi ad un team multidisciplinare esperto e competente che lo sappia trattare a 360 gradi. L’equipe del Piede Diabetico del Policlinico di Abano Terme, di cui sono responsabile, è specializzata da anni nel percorso terapeutico medico, di rivascolarizzazione e chirurgico del paziente con ischemia degli arti inferiori. Per maggiori informazioni non esitare a contattarmi.

Dott.ssa Christine Whisstock

Medico chirurgo specialista in endocrinologia e malattie del ricambio, specializzata nel trattamento medico-chirurgico del piede diabetico e del diabete.

Dottorato di ricerca in ipertensione e prevenzione del rischio cardiovascolare.

Primario dell’Unità Operativa di Piede Diabetico del Policlinico Abano Terme (Padova).

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